Slittato un po’ nel tempo, a causa delle avverse vicende che dalla fine della scorsa estate hanno contraddistinto e segnato il territorio teramano e buona parte del Centro Italia, è iniziato l’anno berardiano, 900 anni esatti dopo che il santo abruzzese fece il suo ingresso come pastore nella Chiesa aprutina .
Il giubileo per la diocesi di Teramo-Atri non si ferma quindi dopo la chiusura dell’Anno santo della misericordia indetto da Papa Francesco e prosegue proprio sulla linea della catechesi di Bergoglio e del vescovo Michele Seccia che, da ormai diverso tempo, invitano la Chiesa a riflettere sul tema della speranza.
“In questo momento ci sentiamo un po’ nel deserto dei problemi ma la speranza non delude, perché lo Spirito santo ci fortifica e ci rende capaci di andare avanti nel nome del Signore”, le parole usate da mons. Seccia domenica sera nella chiesa di San Pietro a Giulianova, durante la messa conclusiva del pellegrinaggio delle reliquie di San Berardo nella forania giuliese.
San Berardo, patrono della diocesi aprutina, può essere certamente il simbolo della speranza e un esempio da seguire, soprattutto in un periodo nel quale la società sembra votata all’apparenza o educata negli interessi dell’arrivismo personale.
Proprio per questi motivi, come è solito ripetere il vescovo Seccia ad ogni celebrazione dei santi, c’è bisogno di ricordare e celebrare non tanto il momento di festa, quanto l’esempio della loro vita come modello cristiano.
Ognuno di noi potrebbe interrogarsi difronte alla vita di San Berardo e, mentre magari stiamo litigando solo per avere un posto a sedere su una poltrona dell’autobus senza neppure renderci conto che lo stiamo togliendo a una persona che lo meriterebbe più di noi, capire quanto possa essere attuale il suo insegnamento e quanto difficile la sua prima scelta: rinunciare alla sua nobiltà.
Fermiamoci a questo aspetto perché, forse a causa del clima populista che si sta vivendo in questo periodo, sarebbe davvero difficile riuscire a capire come una persona possa rinunciare a titoli, prestigio e soldi e spendersi in favore di indigenti, poveri, meno abbienti e anche per riportare la pace tra le varie fazioni in lotta tra loro.
“Dio ci aspetta”, ha però ripetuto il vescovo della diocesi di Teramo-Atri, invitando tutti a un esame di coscienza e alla testimonianza e trasmissione della fede con gioia, prima di tutto in famiglia, in modo da suscitare ulteriore incontro ed esperienza “non avere paura di fare il segno di croce davanti ai tuoi figli che magari hanno perso questa abitudine. Non avere paura di fare una preghiera prima di pranzo o prima di andare a dormire”.
Questi gesti semplici che nascono dal cuore, non compresi o derisi da qualcuno, sono la trasmissione di una eredità di fede.
“Come mai è arrivata a noi, dopo 900 anni, la figura di San Berardo?”, la domanda di mons. Seccia per far capire l’importanza della trasmissione tra persona e persona, tra genitori e figli che, da “assetati”, possano diventare “sorgente che disseta”, seguendo l’esempio di San Berardo e chiedendo proprio al patrono della diocesi di Teramo-Atri, nell’anno in cui si potrà beneficiare anche dell’indulgenza plenaria concessa da Papa Francesco, la grazia di condividere “la fede che abbiamo ricevuto in dono”.
servizio di Marco Calvarese (da Teramoweb)