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Da cristiani nella cultura dei media
Il mistero dell’uomo e la comunicazione sociale
(da Conferenza Episcopale Italiana “Comunicazione e Missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa”, (2004), I Sezione, II Capitolo)
La persona come essere dialogico-relazionale
L’essere umano è, per origine e struttura, fatto per la relazione. La capacità comunicativa rivela la dimensione trascendente della persona. Tale natura comunicativa e relazionale del nostro essere nel mondo si radica innanzitutto nel corpo. I rapporti con noi stessi e con gli altri, con la natura o con Dio passano sempre attraverso la corporeità. Essa resta il luogo originario della nostra coscienza incarnata. Le stesse coordinate dell’esistenza, il tempo e lo spazio, assumono il loro effettivo valore se si tiene conto della natura comunicativa dell’essere umano. Le comunicazioni sociali tendono a modificarne i parametri scuotendo alla radice l’identità dell’essere umano, ma spazio e tempo restano condizioni irrinunciabili del rapporto con il mondo e dell’incontro con gli altri e con Dio; ci permettono di essere insieme determinati e aperti, incarnati nel mondo ma anche capaci di guardare oltre.
Il soggetto della comunicazione
Il mistero dell’uomo non può essere esplorato al di fuori delle relazioni che egli anela a intrecciare con gli altri. Nel villaggio globale, tuttavia, la prassi comunicativa tende a enfatizzare il nesso, la rete, la connettività, relegando ai margini le realtà soggettive e personali, che pure costituiscono il cuore di ogni relazione. Ma solo il “cittadino globale” che abbia una percezione piena, non parziale di sé, riuscirà a non soccombere dinanzi ai mutamenti sociali e culturali, proponendosi da protagonista e da soggetto di storia e di cultura. Infatti solo un’antropologia integrale può costituire il punto di partenza per un’interattività mediatica sana e dialogica. La grazia, che redimendo l’uomo fa sì che si armonizzino i conflitti fra le stesse dimensioni costitutive della persona, mentre ci spinge oltre noi stessi alla comunione con Dio, ci rende anche protagonisti, e non solo spettatori, di una storia affascinante e complessa, ricca di opportunità per la cultura e per la fede.
Il primato della testimonianza
In un mondo che cambia così rapidamente, ponendo nuove e inedite questioni anche alla trasmissione della fede, riflessione e approfondimento, a tutti i livelli, risultano urgenti e imprescindibili. Ma non va dimenticato che la prima modalità della comunicazione della fede, anche nel “villaggio globale”, resta la testimonianza. Ovunque egli sia, con chiunque s’incontri, attraverso i media o nel rapporto interpersonale, il fedele non può derogare al suo compito di testimone della fede, fino a sperimentare la martyria dell’emarginazione o del disprezzo, perfino della sofferenza e della morte. La storia stessa del “secolo breve”, con le sue immani tragedie, ha mostrato come nessun’epoca può fare a meno di autentici testimoni, di martiri della fede e di insigni figure di santi.
Dinamismo di ascolto e risposta
Chi desideri farsi comunicatore dinamico deve porre al centro l’ascolto; in altri termini, dev’essere disponibile all’incontro con il senso della propria esistenza. A partire da qui la persona può orientare i sentimenti, i desideri, i progetti, le attese e il tempo che gli è dato, vivendo con responsabilità la propria vita e le relazioni di cui è intessuta. L’ascolto pone la persona in relazione con una realtà originaria di senso, relazione tanto invisibile quanto determinante, tale da coinvolgerla interamente. Chi comunica con autenticità e pienezza conferma questa relazione e risponde all’appello radicale: sii te stesso. Comprende che entrambi – relazione e appello – sono un dono; un dono che diventa compito, come suggerisce il termine latino munus, radice della stessa parola comunicare.
Una dimensione dello spirito
Creato a immagine di Dio, l’uomo è chiamato a orientare la pro- pria vita in libertà, indirizzando con responsabilità il suo cammino, per non rischiare il fallimento della propria esistenza. Quella libertà, infatti, può essere usata per una vita ricca di relazioni, ma anche per annullare qualsiasi possibilità di vita. Per aprirsi e per chiudersi. Per donare e per possedere. La grande disponibilità e la potenza dei media dilatano a dismisura gli spazi d’azione. A maggior ragione oggi possiamo affermare che la comunicazione è quella dimensione dello spirito per cui la persona si eleva al di sopra della costituzione biologica e del vincolo con la natura. La comunicazione, in quanto sociale e in tutte le sue espressioni autentiche, libera l’uomo e si pone come risorsa per la sua realizzazione e per la sua felicità.
La dimensione comunicativa della Rivelazione
La Rivelazione come comunicarsi di Dio all’uomo
La storia della salvezza narra la comunicazione di Dio all’uomo. Dio crea e la sua attività creatrice si esprime come parola, comunicazione che plasma e dà vita. Sin dall’inizio Dio pone nell’universo e nell’uomo un desiderio, un’aspirazione, un dinamismo ascendente, che risponde al movimento discendente della sua apertura amorosa e misericordiosa. Ponendo il mondo e l’uomo come “altro da sé”, Dio istituisce la possibilità di un autentico dialogo tra il creatore e la creatura che ha il suo culmine nell’incarnazione: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dio realizza qui un salto di qualità comunicativa: nel suo Figlio, Gesù di Nazareth, non dialoga tramite il suo invisibile annunciarsi nella tenda del convegno o nel tempio dell’antica alleanza, ma con la presenza personale del suo Verbo eterno, il Figlio amato, che bisogna ascoltare e seguire (cf Mc 9,6-7).
La comunicazione unica e singolare del Verbo
La comunicazione realizzata nel Verbo incarnato è immediata, unica e singolare, perfetta e assoluta. Cristo si rivela come autocomunicazione dell’amore di Dio per gli uomini, ricapitolando tutto in sé per il Padre, rompendo le catene dell’incomunicabilità umana e orientandola verso un futuro di piena comunione. L’uomo Gesù è la comunicazione per eccellenza di Dio ad ogni uomo, come Figlio del Padre egli è l’icona umana di Dio (cf Col 1,15), la sua Parola. Se Gesù parla agli uomini, è il Padre stesso a parlare. Poiché Gesù è il Figlio – e non uno dei tanti mediatori possibili tra il divino e l’umano – egli riceve tutto dal Padre e vive per il Padre di cui liberamente fa la volontà compiendo la sua opera: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre» (Gv 5,19). Affidato radicalmente al Padre, caratterizza la sua missione tra gli uomini come un invito a ritrovare il Padre, a riscoprirlo nella verità beatificante del suo volto, a bramarlo dal profondo del cuore.
Il Verbo ci pone in comunione con il Padre
In forza della relazione filiale Gesù rivela in modo esclusivo il Padre e comunica con verità indubitabile la novità del suo volto misericordioso, attraverso l’annuncio del Regno, presente in mezzo a noi nella sua stessa persona. L’amore del Padre per l’uomo diventa visibile e sperimentabile nell’amore mostrato da Gesù per tutti e comunicato a tutti. La persona stessa di Gesù è l’immagine viva dell’amore del Padre e del suo voler desiderare la relazione con l’uomo. Di questo parlano gesti, emozioni, comportamenti di Gesù: l’amore misericordioso e premuroso verso i derelitti, i poveri, gli emarginati, i sofferenti non è una mera rappresentazione dell’amore di Dio, ma lo attua. Rivelandoci la perfezione dell’amore, Gesù si pone anche come il perfetto comunicatore, dalla cui esemplarità nessuno può prescindere (cf Mt 5,43-48).
Vita trinitaria mistero di comunione e comunicazione
Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pa- squa, Cristo rivela in maniera definitiva ed inequivocabile il volto del Dio uno e trino, nel quale l’unità non significa solitudine e la molteplicità non si risolve in dispersione (27). Lo Spirito, vincolo e legame d’amore tra il Padre e il Figlio, rende la comunione trinitaria possibile, costituendola come luogo della comunicazione e della donazione reciproca fra le tre persone divine. Questo profondo e inti- mo rapporto viene descritto nel Nuovo Testamento come una relazione di conoscenza profonda, nel senso di esperienza di comunione e comunicazione, che tuttavia non resta rinchiusa nell’impenetrabi- lità di un cielo distante, ma viene rivelata nel Figlio, e dal Figlio in- carnato ai piccoli (cf Mt 11,25-27). Siamo qui alla radice dell’origine e del senso della comunicazione: «La fede cristiana ci ricorda che l’u- nione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita divina» (28).
Gesù: modello di autentica comunicazione
Gesù, parola vivente ed efficace
Fedele a Dio e all’uomo, Gesù è l’icona di umanità e di divinità in dialogo, in comunione vera. Portando dentro di sé la passione per la volontà del Padre e quella per l’uomo che cerca la vita, ogni sua azione e ogni sua parola diventano spada a doppio taglio (cf Eb 4,12) capace di distinguere e separare il grano dalla zizzania, nel presente della storia (cf Mt 13,24-30.36-43 par). Realizza così la difficile arte del discernimento, dono dello Spirito di Dio e incontro unico e sempre nuovo tra Verbo, divino ed eterno, e storia sempre mutevole degli uomini: «La storia stessa è destinata a divenire una sorta di parola di Dio, e la vocazione dell’uomo è di contribuirvi vivendo, in modo creativo, questa comunicazione costante e illimitata dell’amore riconciliatore di Dio»29.
L’uso sapiente dei linguaggi
Gesù di Nazareth è uomo della parola e del silenzio, della meditazione nel giorno e nella notte (cf Sal 1,2). Le notti passate in preghiera sono un segnale, secondo la testimonianza evangelica, di una relazione unica con la fonte dell’amore, il Padre. Nella sua predicazione Gesù opera, annuncia, dialoga, discute, tace. È attento a contesti, livelli e strumenti diversi di comunicazione. Quando Gesù opera e parla manifesta una profonda coerenza: la parola sottrae il gesto all’ambiguità, soprattutto a quella del prodigio, per interpretarlo quale segno del Regno. Gesù comunica secondo linguaggi e generi distinti: parla in parabole alle folle, ma come uomo di sapienza dibatte e discute di fronte ai maestri della legge, seguendo le regole argomentative del tempo (30).
Gesti e parole per dire a tutti la salvezza
Narrazione e discorso argomentativo o legislativo erano modalità per esprimere la volontà di Dio. Anche Gesù le fa sue. Vi ri- corre sia rivolgendosi alla grande folla e ai discepoli, privilegiando così il modulo narrativo, specie quello parabolico, sia nelle controversie polemiche, con interlocutori come i farisei, i maestri della legge e i sadducei. La comunicazione di Gesù è profondamente dinamica e mostra le più alte vette di novità proprio nei confronti dei pove- ri, dei peccatori e delle donne, categorie tutte collocate ai margini della società. Rompendo gli schemi consolidati della narrazione parabolica o della disputa rabbinica, la sua comunicazione punta diretta alla vita dell’interlocutore, da cui la domanda è salita all’orecchio di Dio, di quel Dio che nei tempi antichi aveva accolto le grida di lamento del suo popolo (cf Es 2,23-25).
Il soffio dello Spirito e la novità dei linguaggi
Il Padre comunica nel Figlio la sua volontà e invia lo Spirito Santo per abilitare ogni uomo ad accoglierla e a metterla in pratica. Come l’evento di auto-comunicazione di Dio non si compie senza la presenza dello Spirito, allo stesso modo l’evento della sua accoglienza è impossibile senza il dono dello Spirito che, nella libertà personale di ognuno, ha il compito di permettere la riconciliazione e la comunicazione degli uomini con Dio e tra di loro. Come la superbia e l’arroganza della vita avevano un tempo portato alla confusione babelica (cf Gen 11,1-9), ora il dono dello Spirito, attraverso la conversione e il superamento del peccato, consente una definitiva comunicazione tra gli uomini. È la Pentecoste: lo Spirito Santo permette non solo di “parlare altre lingue”, ma consente anche l’ascolto: «Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua» (At 2,6). La diversità delle lingue non è più un ostacolo alla comunicabilità, all’entrare in relazione, perché nello Spirito avviene l’unificazione in un solo linguaggio, quello dell’amore: amore del Padre, manifestato in Cristo morto e risorto ed effuso, con lo Spirito Santo, nel cuore degli uomini.
La Chiesa: mistero di comunicazione salvifica
La Chiesa mistero di comunione-comunicazione
La Chiesa nasce dall’evento comunicativo del Figlio Unigenito, il Verbo incarnato, che abita tra gli uomini, e raduna i discepoli in forza dell’ascolto della sua parola e della parola del Padre, inviandoli poi come suoi testimoni e annunciatori fra le genti. La nascita della comunità credente, stando alla descrizione neotestamentaria, è frutto della partecipazione, donata, alla vita di Gesù in forza dello Spirito. Tale partecipazione assume un volto storico costituito da tre elementi fondamentali: la condivisione della fede, la celebrazione eucaristica, la vita fraterna. La comunicazione, soprattutto nelle sue dimensioni verbale e simbolico-sacramentale, rappresenta l’elemento portante delle tre dimensioni costitutive della comunità ecclesiale. La “comunione”, di cui la Chiesa vive, si attua mediante processi che implicano un dire (annuncio) e un fare (celebrazione e relazioni). In forza di tali processi si realizza una dilatazione dell’esperienza originaria dello stare con Gesù, fino a includervi tendenzialmente tutta l’umanità.
La comunione principio e frutto della comunicazione
La comunione non solo sta al principio della comunicazione, ma ne è anche l’esito. La I Lettera di san Giovanni ricorda che l’an- nuncio nasce da un’esperienza di comunicazione e comunione, e il suo fine è far partecipare gli ascoltatori alla medesima comunione (cf 1Gv 1,1-3). Se è vero che la comunione è dono che proviene da Dio, è altrettanto vero che essa si nutre dei linguaggi umani. La Parola divenuta parole sprigiona tutta la sua forza creatrice e riconciliatrice, fino a unire un gruppo umano nella medesima autocoscienza di essere ekklesia, comunità comunicante, convocata dal Signore stesso, autocoscienza che si fonda e si esprime nella celebrazione, nella professione di fede e nella fraternità. Nata dall’evento comunicativo del Verbo, la Chiesa è costituita essenzialmente come trasmissione di questo evento di comunicazione tra gli uomini nelle forme comunicative della società umana. Forme legate alla storia, al tempo. Forme contingenti. Che non penalizzano la missione della Chiesa, ma anzi offrono nuove opportunità per andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cf Mc 16,15).
La sacramentalità del mondo, di Cristo e della Chiesa
L’azione comunicativa a cui è chiamata la comunità credente poggia sulla profonda convinzione relativa al carattere “sacramentale” del mondo, di Cristo e della Chiesa stessa. La sacramentalità del mondo trova la sua origine nella creazione, intesa nel senso originario di rapporto e di autonomia del cosmo rispetto al Creatore. Il Concilio Vaticano II ha parlato di “testimonianza” che la creazione stessa rende al suo Signore: «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cf Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori»31. La fondamentale sacramentalità del Cristo fa sì che egli possa a ragione chiamarsi ed essere descritto come il “sacramento” dell’incontro dell’uomo con Dio. E l’autocoscienza della Chiesa «come un sacramento universale di salvezza» (32) non può non accompagnare ogni momento della comunicazione della fede che in essa si attua e da essa si genera.
Caratteristiche della comunicazione della fede
Una Chiesa guidata dallo Spirito Santo capace di comunicare la fede…
La Chiesa non è soltanto un luogo di trasmissione della fede, cioè non è una semplice “emittente”. Custode fedele della Parola, la Chiesa è innanzitutto chiamata a porsi in “religioso ascolto” di essa, riconoscendola come dono da condividere con tutti gli uomini. Nell’ascolto della Parola e nell’apertura orante del cuore si perpetua il prodigio della Pentecoste (cf At 2,1-13) che permette alla Chiesa di assumere, sotto la spinta e la guida dello Spirito Santo, i linguaggi e gli atteggiamenti maggiormente idonei, in ogni tempo e situazione, per far arrivare l’annuncio del Vangelo a tutti.
…nel dinamismo dell’ascolto e dell’annuncio
L’evangelizzazione consiste nella comunicazione di questa Pa- rola, a partire dalla fragilità e dalla mutabilità dei linguaggi dell’uomo. Il dinamismo dell’ascolto e dell’annuncio richiede da un lato di far riferimento costante alla Parola originaria rivelata nelle Sacre Scritture e trasmessa nella tradizione vivente della Chiesa; dall’altro di conservare un’attenzione vigile e critica nei confronti delle possibilità e dei limiti delle forme comunicative proprie delle diverse epoche storiche e dei linguaggi adottati. Ogni parola che sgorga dal dia- logo con Dio si fonda e si sviluppa sulla contemplazione della Parola fatta carne, del Verbo vivente in mezzo a noi (33).
…nella peculiarità del linguaggio liturgico
La forza comunicativa della parola di Dio emerge in maniera pre- cipua e singolare nella celebrazione liturgica. Qui l’annuncio accade. Non più solo espressioni verbali, ma realtà. Il mistero salvifico viene consegnato agli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini, rendendo contemporaneo – qui ed ora – il mistero di Cristo. Nel rito sacramentale cristiano la polivalenza propria del simbolo – cosa e gesto – è integrata dalla parola che sempre l’accompagna esplicitandone i significati. I sacramenti realizzano ciò che annunciano verbal- mente e diventano in tal modo luoghi di profonda comunicazione tra il mistero di Dio e l’esperienza umana. La liturgia può essere con- siderata il codice dei codici, presupposto di ogni altro codice mediatico e paradigma di ogni autentica comunicazione.
…nell’essere segno e strumento di carità
La testimonianza dell’amore è il tessuto connettivo della comu- nità cristiana, il riflesso dell’amore divino. È un segno duplice: l’amore donato è stato accolto e testimoniato, senza limiti né condizionamenti, nella pura gratuità. La comunicazione nella Chiesa e della Chiesa rimanda a una realtà agapica trascendente: il Dio Uni- trino. Annunciare, celebrare, servire sono le tre modalità costitutive della comunità cristiana nel suo rapportarsi al regno di Dio che si rende presente e al tempo stesso costituisce la meta verso cui l’uomo incessantemente tende.
Asimmetria fra il contenuto della comunicazione e il medium umano
Come esprimere compiutamente il “mistero del Regno”, con parole e gesti umani? Ogni modalità apparirà inadeguata e provvisoria. Paradossalmente gli strumenti più semplici e immediati (parole e gesti degli uomini in relazione tra di loro) risulteranno i più adatti, ancor più, forse, degli strumenti più sofisticati e tecnologicamente avanzati. Mai perderanno d’attualità le parole di san Paolo: «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,7- 10). Infatti «ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13,12).
La comunicazione nell’ottica della grazia
Di questa originaria inadeguatezza siamo ben consapevoli. Da un lato c’è la convinzione che i risultati della comunicazione della fede sono sempre e comunque opera della grazia più che delle energie e dei mezzi umani, per cui ogni iniziativa andrà accompagnata e sostenuta dalla preghiera e situata in un orizzonte contemplativo; dall’altro lato ci sentiamo invitati a considerare con spirito critico le tecnologie e la cultura che le accompagna. Vanno evitati entrambi gli eccessi: diffidare delle tecnologie fino a demonizzarle, ma anche cedere al facile entusiasmo pastorale e culturale per cui tutto ciò che è nuovo è di per sé buono. Anche nel campo della comunicazione sociale ciò che alla fine conta è la capacità di riflettere la gloria di Dio, annunciandola e testimoniandola con una vita di santità.
IL FONDAMENTO TRINITARIO
La comunicazione sociale, per sua stessa natura, tende a far sì che l’uomo, moltiplicando gli scambi vicendevoli, rag- giunga una maggiore consapevolezza nell’impegno comunitario della vita. Così ogni individuo, collegato con gli altri uomini suoi fratelli, si sente come condotto dalla mano di Dio a realizzare nella storia il piano divino. La fede cristiana ci ricorda che l’unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Pa- dre, del Figlio e dello Spirito santo, uniti in un’unica vita divina.
GESÙ CRISTO, IL PERFETTO COMUNICATORE
Durante l’esistenza terrena Cristo si è rivelato perfetto comunicatore. Per mezzo della sua incarnazione, egli prese la somiglianza di coloro che avrebbero ricevuto il suo messaggio, espresso dalle parole e da tutta l’impostazione della sua vita. Egli parlava pienamente inserito nelle reali condizioni del suo popolo, proclamando a tutti indistintamente l’annuncio divino di salvezza con forza e con perseveranza e adattandosi al loro modo di parlare e alla loro mentalità. Del resto la “comunicazione” si estende molto oltre la semplice manifestazione dei pensieri della mente o l’espressione dei sentimenti del cuore. La piena comunicazione comporta la vera donazione di se stessi sotto la spinta dell’amore; ora la comunicazione del Cristo è realmente spirito e vita. Con l’istituzione dell’eucaristia, Cristo ci consegnò la più alta forma di comunione che potesse venire partecipata agli uomini. Nell’eucaristia si realizza infatti la comunione fra Dio e l’uomo e perciò la più in- tima e perfetta forma di unione fra gli uomini stessi. Cristo infine ci ha comunicato il suo Spirito vivificante, che è principio di comunità e di unità. Nella chiesa, che è il corpo mistico di Cristo e mistero della pienezza di lui glorificato, egli abbraccia tutte le realtà. Perciò nella chiesa siamo in cammino, fortificati dalla Parola e dai sacramenti, verso la speranza dell’ultimo incontro, quando “Dio sarà tutto in tutti”.
PONTIFICIA COMMISSIONE
PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI,
Communio et progressio, 8.11.
GESÙ CRISTO MORTO E RISORTO, CENTRO DELLA COMUNICAZIONE
Il nucleo vivo del messaggio che gli Apostoli predicano è Gesù crocifisso e risorto che vive trionfante sul peccato e sulla morte. […]
È ovvio che le circostanze sono enormemente cambiate, nel corso di due millenni. E tuttavia permane ancora inalterata la necessità di proclamare Cristo. Il dovere, di dare testimonianza della morte e resurrezione di Gesù e della Sua presenza salvifica nelle nostre vite, è altrettanto reale e convincente di quanto non lo fosse per i primi discepoli. Dobbiamo annunciare la Buona Novella a tutti coloro disposti ad ascoltare.
È indispensabile la proclamazione personale e diretta, grazie alla quale una persona condivide con un’altra la fede nel Signore Risorto. Ugualmente lo sono altre forme tradizionali di diffondere la Parola di Dio. Ma allo stesso tempo, deve realizzarsi og- gigiorno anche una proclamazione nei mezzi di comunicazione sociale e attraverso di essi. «La Chiesa si sentirebbe colpevole davanti al Suo Signore, se non utilizzasse questi potenti mezzi» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 45).
Non è esagerato insistere sull’impatto dei mezzi di comunicazione sociale nel mondo di oggi. L’avvento della società dell’informazione è una vera e propria rivoluzione culturale, che rende i mezzi di comunicazione sociale «il primo areopago del tempo moderno» (Redemptoris Missio, 37), nel quale l’interscambio di idee e valori è costante. Attraverso i mezzi di comunicazione sociale, la gente entra in contatto con persone ed eventi, formandosi una pro- pria opinione sul mondo in cui vive e configurando un proprio modo di intendere il significato della vita. Per molti l’esperienza vitale è, in buona parte, un’esperienza di comunicazione sociale. La proclamazione di Cristo deve essere parte di questa esperienza.
GIOVANNI PAOLO II,
Messaggio per la 34a Giornata mondiale
delle comunicazioni sociali (24 gennaio 2000).