CON SAN BERARDO RISCOPRIAMO LA GIOIA DEL VANGELO E L’ESPERIENZA DELLA MISERICORDIA

900 ANNI DALLA VENUTA DI SAN BERARDO A TERAMO (1116-1122)
19-12-2016

Carissimi,

 

abbiamo vissuto un tempo straordinario di grazia. Non sono certo mancate le difficoltà e le preoccupazioni, dovute anche alla recente e continua esperienza degli eventi sismici che hanno causato morte e distruzione nel centro Italia. Anche noi, pur non avendo avuto perdite di vite umane, ci siamo trovati davanti a nuovi e gravi danni al patrimonio religioso e culturale, danni che si sono aggiunti alle tante e non ancora sanate cicatrici lasciate dal terremoto del 2009.

Ma quanto maggiori sono i motivi di una crisi sociale, etica, culturale, politica, economica e, non lo nascondiamo, anche religiosa, tanto più dobbiamo riscoprire la gioia della fede che ci permette di vedere, nei momenti difficili e critici, una grande opportunità di crescita e di speranza.

Carissimi, diciamo NO alla rassegnazione passiva e prendiamo coscienza del prezioso patrimonio culturale, spirituale e morale, trasmesso e consegnato dalle generazioni passate a noi che ne conserviamo memoria e valori. È il momento opportuno per rilanciare la nostra identità che ci accomuna nelle radici della fede, nonostante le diversità e le scelte individuali. Eppure, quando le difficoltà si fanno sentire aumenta tra noi la forza di saperci uniti nel sostenerci a vicenda. Oggi è il tempo di un rinnovato e convinto impegno corale che ci veda tutti coinvolti nella solidarietà che rinsalda le relazioni personali superando le distinzioni che emarginano; in un rilancio culturale e politico capace di ritrovare il valore e il senso della comunità sociale e della ricerca del bene comune; senza oscurare, ma ravvivando la vita/presenza ecclesiale e pastorale animata dalla gioia del Vangelo e dalla fantasia della carità che, sola via, ci fa riscoprire e attuare la vocazione alla santità.

Quante volte, in questi ultimi mesi, mi è tornato alla mente il tradizionale inno a San Berardo: Morbos, dolores solvit, fugavit et procellas, pestem iramque populi et terraemotus pressit[1] la sua intercessione presso Dio per la difesa e la tutela della Città e del popolo in ogni calamità morale e materiale. Un potere taumaturgico che la devozione popolare non deve circoscrivere nell’ascolto del canto che risuona il giorno della festa.

In questa introduzione, ho voluto sintetizzare, carissimi, il significativo percorso pastorale (e mi auguro anche sociale) che dovrebbe caratterizzare l’ANNO BERARDIANO, iniziamo questa sera con la festa liturgica e concluderemo con la solennità di San Berardo, patrono della Diocesi il 19 dicembre 2017.

 

Una scelta doverosa e una decisione pastorale.

Credo di aver già indicato nella premessa il momento storico che stiamo vivendo e il contesto nel quale si pone l’Anno Pastorale già iniziato. Ma vorrei ancora soffermarmi per spiegare due ragioni che mi hanno convinto da tempo a lasciarmi guidare da San Berardo con tutta la Diocesi per un periodo di tempo che potrebbe offrirci nuovi stimoli pastorali di evangelizzazione, slancio missionario. E non solo dimensioni legate alla vita religiosa. Anzitutto perché, oltre ad essere il “patrono” o protettore della Città di Teramo, Berardo è anche protettore di tutta la Diocesi di Teramo-Atri, come stabilito nel Decreto circa le nuove configurazione delle Diocesi in Italia, emanato il 30 settembre 1986. Ora, il Santo Patrono non è una statua, un simbolo, una devozione semplicemente legata al passato, visto che sono già trascorsi nove secoli dalla sua presenza a Teramo! Il “Santo Patrono”, pur legato al suo tempo, alla sua identità è un punto di riferimento, un modello di vita e di santità per tutta la Diocesi, una tutela per tutta la circoscrizione ecclesiastica.

In secondo luogo, la vita di San Berardo, come vedremo, ha conosciuto diverse situazioni, decisioni e cambiamenti, anche radicali, che ci aiutano a riflettere molto sulle nostre scelte e le situazioni familiari, sociali, politiche, culturali, religiose, vocazionali.

Non possiamo, inoltre, dimenticare che il contesto storico del tempo, vedeva il Vescovo quale autorità morale e civile, nel governo della città. In tempi di facile conflittualità sia interna, dovuta alle rivalità tra le famiglie potenti, sia esterna, per le mire espansioniste territoriali che vedevano accese rivalità tra Comuni o territori ben circoscritti non distanti tra loro.

Secondo alcuni, Berardo di Pagliara sarebbe troppo lontano nel tempo, vissuto in contesti ben diversi dai tempi attuali, con una scelta di vita nell’ordine benedettino ed eremitico che, pur comprensibile allora, non avrebbe molto da insegnare oggi a causa della diffusa non comprensione della vita ascetica. Se questa opinione sembra trovare qualche consenso, mi limito a ribadire che l’essere umano, la persona pur essendo in qualche modo condizionata dal tempo in cui vive, è pur sempre un essere pensante,  capace di operare scelte precise, di esprimere attraverso atti di volontà quale corso dare alla propria vita, quali impegni assumere e cosa ritiene essere prioritario, pronto a discernere tra situazione del passato ed esigenze del presente  … insomma se è vero che il tempo trascorre veloce e che le distanze storiche hanno la loro incidenza, è altrettanto vero constatare perché e come ogni persona che lascia una traccia profonda nella storia, ha ancora  oggi qualcosa da dire, da insegnare … in ogni campo.

Allora, scopriamo insieme cosa ha da dire, proporre insegnare, testimoniare a noi tutti preti e laici, famiglie e gruppi sociali, il nostro Patrono San Berardo!

 

Cenni della vita di SAN BERARDO dei Conti di Pagliara.

Siamo agli inizi del XII secolo, in una località ben identificata ancora oggi tra i monti del Gran Sasso, una famiglia di nobile lignaggio e radicata nella fede cristiana. Pur tra alcune incertezze storiografiche, è accertato che la nobile coppia ha generato almeno tre figli, Rainaldo, Berardo e Colomba. Berardo e Colomba, noti alla devozione della nostra gente. Seguiamo Berardo nel suo percorso di vita caratterizzato da quattro periodi scanditi da eventi o decisioni significative!

Il luogo natio e la famiglia: la bellezza del creato e la religiosità della “chiesa domestica” (LG 11). I genitori, non conosciamo i nomi ma è notorio che il padre era il conte che, dalla residenza di Pretara, comandava sulla Valle Siciliana. La nobile famiglia vive una condizione sociale di benessere, coltiva e trasmette la ricchezza della fede, ai figli, accolti come dono dal cielo, battezzati ed educati secondo la tradizione cristiana molto viva in casa. Ebbene, Berardo, deve aver respirato così profondamente la fede tra le mura domestiche e nelle relazioni parentali, ha frequentato le comunità presenti nel territorio circostante da essere attratto ad una vita spirituale e di raccoglimento, sino a poter discernere una chiamata personale e intima, inizio della “vocazione” che maturerà con scelte ben precise. E tale è stata questa prima esperienza spirituale se ancora giovane ventenne, lascia al fratello la cura dei beni e decide di seguire la vita ascetica e monacale dei benedettini, presenti anche nel territorio circostante, come l’Abbazia di San Salvatore in Castelli e San Giovanni ad Insulam, con annesso monastero.

La scelta del monachesimo. La fama di San Benedetto e dell’Ora et labora, si é diffusa da qualche secolo nel territorio italico del tempo. E il nostro Berardo non esita a recarsi a Montecassino dove é introdotto alla vita monastica sotto la guida dell’Abate e della Regola del monastero, riferimenti fondamentale per lo stile di vita già familiare a Berardo, diventato ben presto modello per gli altri monaci e, successivamente, ordinato presbitero per la sua formazione spirituale e culturale, secondo quanto richiesto dallo stesso Abate. L’esperienza della vita nella sede della prima comunità benedettina, dopo aver plasmato ed entusiasmato Berardo nello spirito e nelle virtù,  lo coinvolge a tal punto da desiderare ed aspirare una maggiore radicalità. Montecassino, infatti, é diventato ormai meta di tanti visitatori e aspiranti monaci, da essere dispersivo per il raccoglimento e rendere non proprio realizzabile il Nihil amori Christi praeponere. Berardo non esita a chiedere l’autorizzazione a trasferirsi in un altro monastero, dove poter trovare un maggiore raccoglimento, meno distrazioni, più rigore e dedizione all’ideale monastico che ha sognato e sperimentato.

Fossacia: la scelta ascetica ed eremitica. E siamo  alla terza tappa del percorso umano e spirituale di Berardo: dopo la famiglia e la prima esperienza di vita monastica, eccolo nell’eremo benedettino di San Giovanni in Venere per darsi alla vita eremitica nel nascondimento di un luogo remoto e non ancora molto frequentato. Un luogo di isolamento e di ascesi da dove la sua fama, invece di cadere in oblio, continua a diffondersi oltre ben oltre le mura del cenobio. Venuto a mancare Uberto, Vescovo di Teramo, secondo la prassi del tempo, il clero e il popolo della Diocesi aprutina, scelgono Berardo come successore di Uberto, ed una delegazione del Capitolo Aprutino é inviata a consultare Berardo in monastero, forti della decisione unanime manifestata dal clero e dal popolo. Si narra di una grande resistenza opposta da Berardo per tale designazione, al punto da rimettere la decisione  all’approvazione del Pontefice Pasquale II. Infine, Berardo chiede di consultare la sorella Colomba e la raggiunge nell’eremo dove si era ritirata per una vita austera. È l’ultimo incontro con la sorella che lo convince a non opporsi alla volontà di Dio, come si é manifestata nella scelta del Capitolo Apruntino, del Clero, del popolo,  e del Papa.

Berardo Vescovo di Teramo. Inizia così la quarta fase della vita di Berardo di Pagliara. Non si conosce né il giorno né il mese in cui  il monaco benedettino, sia arrivato a Teramo, proveniente  dal monastero di San Giovanni in Venere, per svolgere il ministero di Vescovo nella  Diocesi Aprutina, ma si può ritenere  con certezza che era l’anno 1116.

Infatti nel Cartulario della Chiesa Teramana, in un codice in pergamena del secolo XII, sono riportati sei atti giuridici compiuti dal Vescovo Berardo dal 1116 al 1122, periodo in cui egli fu Vescovo di Teramo. Tra questi atti ve ne sono due compiuti dal Vescovo Berardo nel 1116. Il primo riguarda la donazione del castello di Caprafico effettuata a favore  del Vescovo Berardo  come è attestato dalla espressione “Berardo electo episcopo aprutino”. Il secondo,sempre del 1116, si riferisce alla cessione dei diritti feudali sul  castello di Luco da parte del Conte Aprutino  Attone a Berardo, che costui aveva acquistato da Rainaldo, fratello  di Berardo che intervenne come  Vescovo (Berardo episcopo aprutino), già nel pieno esercizio della sua giurisdizione.

Sulla base di questi due documenti si può ritenere che il monaco Berardo abbia dato inizio al suo servizio di Vescovo di Teramo entro l’anno 1116.

In questo anno 2016, che ormai volge al termine, si compie il IX secolo [1116+900] dall’arrivo di Berardo nella diocesi di Teramo per svolgervi la sua missione di Vescovo. D’intesa con il Clero e gli organismi di partecipazione e consultazione, vista la coincidenza con il Giubileo straordinario della Misericordia e non potendo riferirci ad una data certa dell’inizio del ministero episcopale di San Berardo ho ritenuto indire un

Anno Berardiano” dal 19 dicembre 2016 al 19 dicembre 2017.

Il Patrono o Santo Protettore della Città e dell’intera Diocesi ha una peculiare importanza nella vita e nella storia di un popolo ed è quanto mai necessario non perderne la memoria, riscoprire i valori spirituali, morali e sociali che il Patrono ha testimoniato ieri, come patrimonio da valorizzare per il bene comune e il progresso della comunità che lo venera e a Lui continua ad affidarsi.

 

   Un Anno per approfondire la  conoscenza di San Berardo.

Porre il Santo Patrono al centro dell’attenzione di tutto un anno di attività pastorali, non sembri una scelta esagerata o troppo limitata. Al contrario diventa occasione preziosa anzitutto per approfondire in modo critico e scientifico tutte le fonti accessibili e disponibili per una lettura critica di ciò che è stato tramandato sulla sua figura e, soprattutto, sulla sua azione spirituale, pastorale e sociale.

Si avverte l’esigenza di purificare la memoria da episodi troppo lontani dalla realtà e non certo importanti per aumentare la fama di santità, subito diffusasi dopo la morte ed attestata da eventi prodigiosi. Credo sia doveroso da parte nostra, approfondire tutti quegli aspetti della vita di Berardo che hanno caratterizzato l’esercizio del suo ministero come Pastore della Diocesi aprutina.

Non potendo esporre completamente quanto penso e mi auguro di poter realizzare, dico che le quattro tappe della sua vita ci offrono delle piste pastorali lungo le quali sviluppare un impegno specifico per il cammino della nostra Diocesi aprutina-atriana. Mi limito ad alcuni cenni essenziali:

  • Parola di Dio e celebrazione eucaristica fondamento della vita cristiana
  • La famiglia al centro dell’impegno e dell’attività pastorale
  • L’educazione-formazione alla fede e nella fede in famiglia;
  • Rinnovare l’impegno delle famiglie in difficoltà
  • Famiglia e vocazione / Vocazione
  • Solidarietà e spirito di servizio nelle relazioni sociali e politiche, come espressione alta della carità (Paolo VI)

Nelle prossime settimane e, in particolare in occasione della Quaresima, potremo definire un quadro più dettagliato delle iniziative da assume come proposte mirate alla formazione del Clero.

 

 

Altre Notizie sulla DIOCESI di TERAMO-ATRI

La diocesi di Teramo a quella data aveva già avuto una lunga storia. Essa è certamente una diocesi antica e come primitiva comunità cristiana  si è andata formando nei tempi apostolici, anche se non si conosce il nome  di chi abbia portato il Vangelo a Teramo, allora denominata Interamnia Praetutianorum.

La tradizione vuole che sia stato qualcuno della cerchia dell’apostolo Pietro o comunque appartenente alla Chiesa di Roma. D’altra parte i contatti tra l’Interamnia romanizzata e Roma dovevano essere frequenti  sia a motivo della breve distanza fra le due città  sia per la struttura viaria di allora che collegava le medesime, per cui non è impossibile che cristiani di Roma abbiano portato già ai tempi dell’apostolo Pietro il  Vangelo nella città di Interamnia.

Gli storici perciò sono concordi nel ritenere che la diocesi di Teramo sia da annoverare tra le diocesi più antiche dell’Abruzzo. Lo storico Ughelli,da tutti ritenuto un ottimo conoscitore della storia religiosa d’Italia, a proposito della diocesi di Teramo ha lasciato scritto: Teramo ha avuto la luce del Vangelo già dai tempi degli apostoli e fu dagli stessi costituita sede episcopale.

E’ certo che  uno dei luoghi cristiani abruzzesi più antichi è costituito dall’edificio paleocristiano di Teramo Sancta Maria Aprutiensis, oggi Antica Cattedrale o chiesa di S. Anna. Qui infatti c’era  in origine una casa patrizia, una domus romana, dove i primi cristiani di Interamnia si riunivano, trasformandola di fatto in domus cristiana,poiché è noto che le prime comunità cristiane si riunivano nelle case private. Gli scavi ivi effettuati nel 1896 hanno mostrato tracce di un’antica domus del II secolo, di una basilica bizantina del V-VI secolo e di una chiesa romanica dell’VIII-IX secolo. Si può supporre che dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) la  domus  originaria sia stata ampliata e trasformata nello stile bizantino, che nell’arte cristiana era generalmente adottato dopo che quell’imperatore si era trasferito a Bisanzio. Qui fu costruita la prima basilica, dove ebbe sede la Chiesa di Interamnia con il suo Vescovo, i suoi presbiteri e i suoi fedeli.

La bolla di  Papa Anastasio IV del 27 novembre 1153 all’allora vescovo di Teramo Guido II è una preziosa conferma  del fatto che la fede cristiana ha avuto come origine e centro  questo  antico tempio cittadino. Si legge infatti in tale bolla: “La Chiesa di S. Maria sia considerata chiesa madre  come lo è stata sino a questo momento e ivi rimanga la sede episcopale”. A S. Maria i Vescovi di Interamnia intestarono il loro episcopio: negli atti ufficiali, nelle donazioni, nei contratti si incontra sempre questo titolo: Ecclesia S.Maria Interamnensis, Episcopium S. Maria Interamnensis  e quando il Pretuzio cambiò il nome in quello di “Aprutio”, cambiò  anche l’intestazione degli atti ufficiali e si ebbe S.Maria Aprutiensis  e Vescovado Aprutino.

Non si conosce con esattezza quando la diocesi di Teramo  sia stata ufficialmente costituita, ma si ritiene che essa  si  sia formata tra il II e il V secolo, comunque prima della distruzione di Interamnia  operata dai Longobardi.

Tra i Vescovi della Diocesi  di Teramo molti si sono distinti per santità di vita, ma tra costoro spiccano San Berardo di Pagliara (1116-1122) benedettino che, nonostante la sua permanenza in diocesi molto breve, ha lasciato un’impronta indelebile della sua santità personale  e il  Beato Antonio Fatati (1450-1463) che, oltre al servizio episcopale effettuato in Teramo, ha esplicato altri incarichi in sedi episcopali  importanti.

San Berardo di Pagliara è il Vescovo al  quale Teramo si sente particolarmente legato e che venera come Patrono della città e della diocesi.

Pagliara è una località della Valle Siciliana, in provincia di Teramo, costituita da  un colle situato di fronte  alla montagna più massiccia tra i monti che costituiscono la catena del Gran Sasso d’Italia. Sulla cima di tale colle sono visibili i ruderi di un castello e si nasconde una chiesetta intitolata a Santa Maria, che la pietà  di un eremita, di nome Fra Nicola, pensò  in tempi non lontani a restaurare di sua mano e che tutt’ora è meta  di pellegrini devoti il 15 agosto e la seconda domenica di Pasqua di ogni anno.

In quel castello molto probabilmente nacque Berardo di Pagliara nel 1060 circa. La tradizione si limita a dirci che il padre era il  conte che aveva la giurisdizione sulla Valle Siciliana, la quale comprendeva il territorio degli attuali comuni di Castelli, Isola del Gran Sasso d’Italia, Tossicia e Colledara (allora Castiglione della Valle).

Di certo sappiamo che Berardo aveva un fratello e una sorella: Rainaldo e Colomba.

Ad Est  del Castello di Pagliara, sopra Castelli, c’era il monastero benedettino di San Salvatore del quale rimane soltanto un rudere. In quel monastero Berardo, già cristianamente educato dai genitori fin dalla fanciullezza, maturò la decisione di farsi monaco benedettino, lasciando al fratello Rainaldo la cura del patrimonio paterno. Così un bel giorno disse addio ai suoi cari e ai suoi monti e si portò a Montecassino dove indossò l’abito monastico e divenne  sacerdote.

La sorella Colomba, colpita dalla decisione del fratello, cominciò anche  lei ad avvertire la vocazione a cercare il Signore nella vita eremitica e si ritirò in un luogo solitario, alle pendici del monte Infornace, dove esiste tutt’oggi una chiesetta a lei intitolata, meta di pellegrinaggi il 1° settembre di ogni anno.

Non è a noi noto per quanto tempo Berardo sia rimasto a Montecassino, né sappiamo in quale anno abbia chiesto e ottenuto dai suoi superiori la licenza di trasferirsi al monastero di San Giovanni in Venere presso Fossacesia (Chieti),dove vigeva una osservanza più rigorosa della regola benedettina e dove era stato abate un suo antenato, Oderisio di Pagliara,conosciuto e stimato per la sua santità. Qui Berardo trovò un ambiente più consono alla sua esigenza di cercare Dio nella preghiera e nell’esercizio della virtù.

La fama della sua santità di Berardo si diffuse  presto anche fuori del monastero di Fossacesia, raggiungendo anche Teramo. Infatti, alla morte del Vescovo Uberto, nel 1116, quando i Canonici della  Cattedrale, i sacerdoti  e le persone ragguardevoli della città di Teramo si riunirono, come era consuetudine della Chiesa Aprutina, per designare il nuovo Vescovo, scelsero all’unanimità  Berardo di Pagliara.

La notizia di tale decisione fu portata al monastero  di San Giovanni in Venere, ma Berardo manifestò il suo vivo disappunto e il suo fermo proposito di non voler abbandonare la vita monastica. Quando poi la scelta fu approvata  dal Papa, Berardo si arrese, ma si dové come strapparlo  dal monastero per condurlo a Teramo. Qui fu Vescovo impareggiabile ma rimase sempre monaco nel suo modo di vivere.

Il suo servizio episcopale fu breve ma intenso. In meno di sette anni di episcopato si distinse soprattutto per lo spirito di preghiera e per l’amore verso il prossimo “da sembrare il padre dei poveri” secondo la appropriata  espressione del Martirologio Romano.

“Il 19 dicembre del 1122, si legge negli Annales Ecclesiatici del Cardinale Cesare Baronio, migrò da questa vita San Berardo, vescovo aprutino, nel settimo anno del suo episcopato, lucerna del nostro tempo posta su un candelabro, ardente e luminosa nella Chiesa di Dio. Egli,infatti, assunto, da monaco benedettino che era, all’episcopato contro sua voglia, brillò di non comune santità e fu famoso per i miracoli, come i fatti della sua vita dimostrano”

Fu sepolto nella Cattedrale di Sancta Maria Aprutiensis e subito invocato e venerato come santo dal popolo teramano. Le sue spoglie, miracolosamente risparmiate dall’incendio che nel 1156 devastò la Cattedrale di Santa Maria Aprutina, furono dal Vescovo Attone I nel 1176 trasferite nella nuova Cattedrale intitolata alla Vergine Madre. Qui  in una grande cappella riservata al Santo sono conservate e venerate dal popolo teramano che lo invoca come Patrono della Città e della Diocesi di Teramo-Atri.

Ogni anno, il 19 dicembre, giorno anniversario della sua morte il popolo aprutino si raccoglie attorno al  Vescovo successore di San Berardo, per ricordare la santità del suo Patrono, invocarne la protezione e riceverne la benedizione con la insigne reliquia di quel braccio col quale il Santo benedisse e ancora benedice la sua Teramo, che tanto amò, e dalla quale per sempre è ricordato, invocato, venerato ed amato.

[1] Malattie e dolori sgomina, allontana tempeste,  placa la peste e l’ira del popolo e il terremoto [Inno del M° Nicola DATI]