Cari fratelli e sorelle della Chiesa che è in Teramo-Atri,
con grande gioia mi rivolgo a voi chiedendo, fin da questo momento, quella comprensione e quell’affetto propri di chi partecipa agli avvenimenti della storia con gli occhi della fede e la semplicità dei piccoli.
È stata finora l’esperienza della mia vita che, ne sono certo, voi potete e spero vorrete condividere: avere gli occhi della fede e la semplicità dei piccoli sono il segreto della vita. Oggi sono qui davanti a voi e in mezzo a voi vivendo con sincero stupore una nuova tappa della mia esistenza che, come le altre, non avrei mai pensato di percorrere.
Dopo aver accolto con gioia e affetto filiale la fiducia di Papa Francesco verso la mia persona, ho già sperimentato, incontrando molti di voi, la genuinità e la robustezza della vita di fede e dell’impegno apostolico delle vostre comunità parrocchiali e realtà ecclesiali. Con tutti ho condiviso la gioia di ripartire per scrivere una nuova tappa della storia antica e feconda della nostra Chiesa. Questa vostra testimonianza è stata per me motivo di tanta consolazione! Insieme a tutti voi desidero manifestare la mia fraterna gratitudine a S. Ecc. Mons. Michele Seccia che, con totale dedizione e generosità, ha guidato la nostra Chiesa.
L’esperienza che stiamo vivendo ci rimanda a ciò che hanno vissuto i primi discepoli, Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni.
L’evangelista Marco ci ha tramandato che “passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea” (Mc 1, 16 ). È lo sguardo del Maestro che ci chiama tutti, non solo i sacerdoti e i consacrati, ad essere suoi collaboratori, pescatori di uomini. Collaboratori chiamati a condividere con Lui il desiderio di vedere gli avvenimenti della storia con i Suoi occhi e a servirli con la semplicità dei piccoli.
Se talvolta non riusciamo ad accogliere l’annuncio che il “tempo è compiuto”(Mc 1, 15), con le sue impegnative e decisive esigenze e con la sua brevità – come ci hanno ricordato il profeta Giona (cf. Giona 5,10) e l’apostolo Paolo (cf 1 Cor 7,29) – è perché siamo tentati ad invertire il paradigma del discepolo del Maestro: insistiamo a voler vedere Lui in qualcosa o in qualcuno piuttosto che camminare con Lui nella storia e costruirla con Lui.
E’ la tentazione dell’evidenza della fede, scientificamente o logicamente compiuta, che ci libera da ogni responsabilità. Vorrei condividere con voi l’invocazione del beato Paolo VI, che hanno segnato il mio cammino di fede nella mia Chiesa di Trani-Barletta e Bisceglie nel lontano 1978 e che tante volte, prima di addormentarmi, ho riascoltato: “Signore, tu non hai esaudito la nostra supplica” (Roma 13 maggio 1978). E’ un’invocazione che ci ricorda che ogni discepolo è chiamato a coniugare quotidianamente, nel suo impegno di costruzione della Chiesa e della società, la certezza della fede e la novità, talvolta imprevedibile, del cammino reale e storico che il Signore ci suggerisce di percorrere. Di fronte alle difficoltà impreviste e, talvolta, drammatiche, come è stata per voi l’esperienza del terremoto, possiamo restare delusi o sentirci abbandonati. E’ il momento, invece, in cui siamo invitati a verificare e a superare le nostre preoccupazioni e a ripartire con sano realismo.
Di fronte a noi c’è la grande illusione dell’uomo contemporaneo, forse anche della stessa comunità cristiana, preoccupato di raggiungere il successo immediato, talvolta a qualunque prezzo. Voler vedere Dio senza lasciarsi trasformare il cuore e la mente da Lui è la grande tentazione di tutti, anche dei battezzati!
Oggi, insieme, vogliamo accogliere l’incertezza e il disorientamento dell’uomo contemporaneo riscoprendo e testimoniando che la chiamata del Maestro non è quella della sequela di un fondatore sia pure di una religione di alto valore religioso o sociale (CF. Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale Missionaria 2017). È la chiamata che ciascuno di noi ha desiderato da sempre fin dal giorno della sua nascita nel tempo: essere chiamati per nome! È la chiamata che dona all’uomo la sua identità, la sua stabilità e l’eternità.
Non è la chiamata ad essere funzionari o, come pensavano i maestri del sospetto, ad essere dipendenti, sia pure di Dio. È la chiamata a costruire la storia portando in essa la forza trasformatrice del Vangelo, l’unica capace di promuovere un vero sviluppo integrale dell’uomo e della società.
Cari fratelli e sorelle,
prima di partire da Roma il Signore mi ha concesso il grande dono di consegnare il Vangelo di Marco, che viene proclamato in questo anno liturgico, agli universitari. Un gesto semplice ma, per me, di grande responsabilità.
Vorrei, insieme a voi, passare per le vie delle vostre Città chiamando ogni uomo e ogni donna, senza distinzione o pregiudizio, dando voce al desiderio del Signore Gesù di vederli. Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ci ha ricordato che la Chiesa non è una aggregazione religiosa o sociale (cf. Francesco, Messaggio per la Giornata Missionaria 2013), ma è il luogo dove gli uomini e le donne possono incontrare il Maestro e accogliere quotidianamente il suo invito: “Venite dietro a me” (Mc 1, 17).
La missione della Chiesa, ci ricorda papa Francesco, non è quella di aggregare l’uomo a sé, ma di generarlo alla vita nuova che lo rende capace di essere protagonista nella storia, sia ecclesiale che sociale. È il desiderio di Dio che si ravvede sempre, anche di fronte alle nostre incertezze, affinché ogni uomo possa incontrarlo, come ci ha ricordato il profeta Giona: “e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece” (Gv 3, 10).
E’ la via per riscoprire insieme la gioia della missione evangelizzatrice della Chiesa che Papa Francesco ci ha descritto nell’Evangelii Gaudium. Un testo che, con saggezza e realismo, sintetizza il cammino della Chiesa del Concilio e che insieme vogliamo riscoprire per servire quello che il Papa chiama il cambiamento d’epoca. Come non ricordare l’invito di papa Francesco a rileggere il suo testo e a confrontarlo con l’Esortazione apostolica del beato Paolo VI, la Evangelii Nuntiandi? (Cf. Francesco, Discorso al convegno ecclesiale della Chiesa di Roma, 16 giugno 2014). Vorrei che questo binomio potesse animare i primi passi del nostro camminare insieme per tentare, per ciò che ci sarà concesso dal nostro Maestro, di superare quella fase di transizione che avevo indicato nel mio primo messaggio.
Il cambiamento d’epoca, infatti, richiede di compiere un ulteriore passo in avanti riannodando quel rapporto tra evangelizzazione e annuncio della salvezza, così come ci viene descritto nelle due Esortazioni apostoliche. Dobbiamo farlo non per noi, ma per il mondo, rispondendo con generosità e creatività alla chiamata del Maestro, dando un volto a quei pescatori di uomini a cui il Signore desidera affidare il Suo Vangelo.
Non dobbiamo avere paura di prendere coscienza del fatto che il cambiamento d’epoca chiede alla nostra Chiesa di essere coraggiosa e intrepida, di essere consapevole che il futuro dei nostri fratelli dipende dal loro incontro personale con il Maestro. Se il Signore ci chiede di essere pescatori di uomini non lo fa per costituire un gruppo di élite spirituale o sociale, ma per porre nella storia la sua Chiesa, suo Corpo Mistico.
Oggi insieme vogliamo anche noi, come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, rinnovare la gioia di lasciare le reti che ci separano da Lui e di seguirLo. Sono certo che verranno con noi tanti amici, anche lontani, che saranno affascinati dal sapere che il Maestro è ancora presente nella storia. Sì, il Maestro, è qui, in mezzo a noi che con dolcezza e fiducia ci ricorda: vi farò diventare pescatori di uomini (Cf. Mc 1,17).
Cari amici e amiche,
la storia ha urgente bisogno di discepoli del Maestro capaci di vedere la storia con i Suoi occhi.
E noi non vogliamo e non dobbiamo deluderLo!
Questo passaggio dalla tentazione di voler vedere Lui nella storia al vedere la storia con i Suoi occhi è il più grande servizio che il cambiamento d‘epoca chiede alla nostra Chiesa. È la meta tracciata dal Concilio Vaticano II e riaffermata dalla due Esortazioni apostoliche.
Il primo impegno che la società contemporanea chiede di percorrere alla nostra Chiesa è quello di promuovere insieme tre forme della carità: quella samaritana, quella intellettuale e quella politica. Forse non siamo preparati a questa distinzione. Forse questa articolazione potrebbe essere considerata riservata agli addetti ai lavori, superflua e, addirittura, insignificante. Certo tutto sarebbe più facile, ma non adeguato al cambiamento d’epoca. La sinfonia della carità, samaritana, intellettuale, politica, è il frutto della Chiesa del Concilio, di quella nuova coscienza di Chiesa che è la risposta, forse ambiziosa, alla domanda che ha pervaso i lavori conciliari: “Chiesa, cosa dici di te stessa?” (cf. Paolo VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Concilio, 29 settembre 1963).
A noi è affidato l’entusiasmante compito, che ho potuto già sperimentare nella Chiesa che è in Roma, di non separare mai l’una dalle altre, ma di promuoverle insieme con decisione e vigore. Sarà la vera sfida del nostro camminare insieme. La società contemporanea deve essere costruita e non assistita e i battezzati, nella ricchezza dei diversi carismi e competenze, sia ecclesiali che sociali, sono chiamati ad assumere nell’incontro personale con il Signore la responsabilità storica di accogliere e servire le sfide che si presentano davanti a noi. Come ci insegna papa Francesco, non si può trasformare il Cristianesimo in un messaggio religioso o sociale. In tal modo la stessa azione evangelizzatrice della Chiesa si ridurrebbe, usando le parole dell’Evangelii Nuntiandi, a semplice opera di verniciatura superficiale (cf. EN n. 20).
E tra le sfide che sono davanti a noi vorrei richiamare quella della ricostruzione! Ripartire insieme superando la logica dell’assistenzialismo per promuovere una nuova cultura del territorio coinvolgendo tutte le realtà ecclesiali, culturali e istituzionali. Da sempre ho imparato a guardare a tutte le realtà con rispetto e fiducia. Senza rispetto e fiducia non si può costruire quel noi-tutti che papa Francesco aveva indicato nel discorso al Parlamento europeo (Cf. Francesco, Discorso al Parlamento europeo, 25 novembre 2014).
Per promuovere questo progetto, il passaggio dal tutti-noi al noi-tutti, è necessario superare la cultura dell’effimero che pervade la società contemporanea e che è rivelatrice che il cambiamento d’epoca deve essere ancora compreso e servito nella sua vera natura. E’ quella cultura che si sviluppa quando si offusca l’onestà intellettuale e ci impedisce di uscire dalla lunga transizione.
A voi, uomini e donne laboriosi e sobri, della Chiesa di Teramo-Atri non sarà difficile condividere con me le parole di Aldo Moro: “La stagione dei diritti si rivelerà effimera se non nascerà una nuova stagione dei doveri. Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere” (20 marzo 1976).
È un monito che ancora oggi risuona nel mio cuore e che mi ricorda gli anni della mia vita di studente nell’Università a Bari. A voi giovani, che non avete vissuto gli anni della contestazione e del terrorismo, vorrei affidare queste parole. Sono certo che esse risuoneranno nei vostri cuori e nelle vostre menti come parole amiche e confidenziali. Non lasciatevi illudere dagli annunci di nuove primavere: oggi sono qui per dire a tutti voi, vicini e lontani, che l’unica primavera che merita la vostra fiducia è quella che hanno vissuto le donne quando si sono recate al sepolcro e hanno scoperto che il Crocifisso non era più là (Cf. Mc 16,6).
Ma dove incontrare il Maestro, se è Risorto, mi chiederete.
A voi rivolgo un invito appassionato a non aver paura di inserirvi nelle comunità ecclesiali, quelle più vicine a voi, nelle Parrocchie, nelle cappellanie, nei vari gruppi di cui è ricca la nostra Chiesa. Negli anni giovanili anch’io mi sono inserito in Parrocchia e nei gruppi associativi dove ho imparato ad essere cristiano e cittadino. Innanzitutto ho imparato a studiare. E poi mi sono preparato alla scelta definitiva. Senza la scelta definitiva non si può vivere in pienezza la propria storicità. Non si può frequentare i gruppi ecclesiali senza mai decidersi per una scelta definitiva! Cari giovani, il Risorto vi chiede di studiare e di acquisire un bagaglio culturale necessario per affrontare quotidianamente le sfide di una società sempre più complessa ed esigente. Mi permetto di rivolgere un particolare appello alle istituzioni: create le condizioni perché ogni giovane possa mettere a frutto i propri talenti.
Nella nostra Chiesa abbiamo un grande dono: il Santuario di S. Gabriele dell’Addolorata. Pensando ai lavori del prossimo Sinodo dei Vescovi, vorrei manifestarvi il mio auspicio che il Santuario diventi sempre di più un vero e proprio laboratorio internazionale per e con i giovani.
A voi sacerdoti, miei amati fratelli, ai consacrati e alle consacrate, a tutti i responsabili e agli animatori delle diverse realtà ecclesiali desidero rivolgere un particolare pensiero di gratitudine per l’intensa attività che svolgete anche in situazioni di precarietà strutturale e organizzativa. Con animo pieno d’ammirazione e di speranza oso invitarvi ad accogliere e conservare gelosamente l’invito del beato Paolo VI rivolto al termine dei lavori del Concilio agli uomini dell’umanesimo laico, presentando il cammino della Chiesa: “dategli merito” (cf. Paolo VI, Discorso nell’ultima sessione del Concilio, 7 dicembre 1965). Non siamo soli ad accogliere questa responsabilità. Pregano con noi e per noi tante comunità, a cominciare dai monasteri delle monache Clarisse e Benedettine, tanti fratelli e sorelle ammalati e sofferenti che offrono la loro vita per noi. A loro il nostro grazie e il nostro ricordo al Signore.
Cari fratelli e sorelle,
l’invito del beato Paolo VI, di cui spero si possa celebrare in questo anno la canonizzazione, deve diventare l’assillo di tutti noi, se davvero vogliamo essere pescatori di uomini. Dobbiamo conquistare la stima, l’amicizia e la simpatia di tutti, perché la Chiesa è per tutti. Non sarà difficile se saremo noi stessi, gioiosi e costanti nel costruire la Chiesa e la società.
Agli amici che si riconoscono nell’umanesimo laico desidero rivolgere un particolare e deferente appello: non chiedete alla Chiesa ciò che essa non può e non deve dare. È in gioco il futuro dell’uomo e non le strategie culturali o politiche. Davanti a noi c’è il cambiamento d’epoca e non il primato di questa o di quella opinione. La realtà è molto più complessa di ciò che si pensi.
Così come è già accaduto in passato, quando la fede cristiana ha permeato la cultura ed è stata promotrice della secolarità della società, della partecipazione, della dignità trascendente dell’uomo, anche oggi è possibile, anzi doveroso, elaborare insieme una nuova cultura che serva il cambiamento d’epoca superando quello stato d’animo di nostalgia e di delusione che pervade il cuore di tanti uomini e donne dopo gli avvenimenti del 1989, del 2001 e del 2008. Insieme possiamo entrare con fiducia in quella stagione dei doveri che è l’aurora di un nuovo sviluppo umano integrale.
Cari fratelli e sorelle,
questa sera tornerete a casa certamente con il ricordo di aver conosciuto il nuovo Vescovo, ma la vera gioia si consoliderà nella nostra vita se insieme decideremo di amare e seguire il Maestro.
Lui, il Risorto, attende la nostra generosa risposta!
Sarà Lui a donare a tutti noi la capacità di vedere i nostri fratelli e sorelle con i Suoi occhi, perché solo i Suoi occhi sono capaci di aprire i nostri orizzonti, quelli di un amore che promuove e non strumentalizza. Forse non saremo esaltati, fotografati, ripresi dalle telecamere. Nessuno parlerà di noi. Non preoccupatevi! Preoccupiamoci di lasciare nel cuore di tutti il passaggio e la tenerezza di un amore disinteressato, come quello dell’amore del Maestro.
A tutti, in particolare ai fratelli che sono nella malattia o vivono particolari momenti di difficoltà sociale ed economica, portiamo la gioia che abbiamo sperimentato questa sera: il Maestro è in mezzo a noi e ci vuole con sé nel tempo e oltre il tempo.
Affidiamo a Maria e all’intercessione dei Santi patroni, San Berardo e Santa Reparata, e del compatrono, S. Gabriele dell’Addolorata, il nostro cammino di discepoli del Risorto che desiderano vedere la storia con i Suoi occhi.
Così sia!
+ Lorenzo Leuzzi